La pace non si ottiene sacrificando i diritti degli ucraini

La visita in Ucraina dei capi di governo dei maggiori paesi europei – Scholz, Macron e Draghi – ha reso evidente che la garanzia della libertà e integrità dell’Ucraina è una priorità europea. La difesa dell’Ucraina è la difesa dell’Europa, che ora, come ha detto il Presidente del Consiglio italiano, “deve avere lo stesso coraggio che ha avuto Zelensky” nell’esprimersi sul riconoscimento, richiesto dall’Ucraina, dello status di Paese candidato all’adesione all’Unione europea, su cui ieri è stato ufficializzato il convergente sostegno di Germania, Francia e Italia.

È essenziale che Camera e Senato dimostrino un’uguale lungimiranza quando, la prossima settimana, in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, dopo le comunicazioni del governo voteranno le risoluzioni di indirizzo sulla guerra della Russia e sulle strategie per porvi termine, quanto più rapidamente possibile.

Se la conclusione o almeno la sospensione del conflitto bellico è un obiettivo naturalmente condiviso dalla generalità delle forze politiche e dei cittadini, nelle ultime settimane sono emerse palesi divergenze, anche nell’ambito della maggioranza e all’interno dei diversi partiti, su come giungere alla fine delle ostilità senza sacrificare i diritti degli ucraini e senza accettare, neppure indirettamente, che l’occupazione militare dei territori dell’Ucraina da parte della Russia possa condurre al riconoscimento della modifica unilaterale dei confini dello Stato occupato da parte dell’occupante.

Non ne va solo del rispetto formale dei principi della legalità internazionale, ma della garanzia sostanziale della libertà e della sicurezza di tutte le democrazie europee. È questa la posizione finora condivisa e sostenuta dal Parlamento: l’inizio della pace è, semplicemente, la fine dell’aggressione.

Vale la pena di ricordare le parole pronunciate dal Presidente Mattarella nella ricorrenza della Festa della Repubblica, il 2 giugno: “L’aggressione all’Ucraina da parte della Russia pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica. Trovarsi nuovamente immersi in una guerra di stampo ottocentesco, che sta generando morte e distruzioni, richiama immediatamente alla responsabilità; e l’Italia è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina”.

Le conseguenze di questa guerra si stanno estendendo ben oltre il teatro delle operazioni militari. Un’emergenza umanitaria e una crisi alimentare internazionale sono tra le conseguenze più chiare e probabilmente tra gli obiettivi strategici più rilevanti e inconfessati dell’aggressione russa. Il freno alla ripresa economica, l’aumento dell’inflazione e l’esplosione della bolletta energetica stanno deteriorando la fiducia degli investitori e le aspettative dei lavoratori in tutta Europa e, in particolare, in un Paese fortemente dipendente dalle forniture di gas e petrolio russe, come l’Italia.

Nei frangenti più duri della storia, quanto più le soluzioni sembrano lontane e i problemi insormontabili, alle classi politiche è richiesto uno sforzo che è insieme di rigore e di generosità, per riaprire strade che sembrano sbarrate e per immaginare percorsi che sembrano interdetti. Da questo punto di vista l’assistenza economica, umanitaria ma anche militare all’Ucraina e la ricerca di canali negoziali con la Russia sono due parti, ugualmente essenziali, della medesima strategia. Non possiamo lasciare nulla di intentato – e su questo vanno salutati con riconoscenza gli sforzi di dialogo della Santa Sede – ma non dobbiamo illuderci che la strada della pace passi dalla capitolazione dell’Ucraina. Meno che mai da una capitolazione indotta dalla nostra omissione di soccorso.

Dal 24 febbraio l’Unione Europea e l’Alleanza Atlantica hanno dato una straordinaria prova di unità, nella consapevolezza che questa guerra, per i suoi presupposti ideologici e per i suoi risvolti strategici, non è solo un’aggressione illegittima, ma una vera e propria sovversione dell’ordine politico internazionale, seguito al crollo del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell’impero sovietico. Sarebbe bene che il Parlamento italiano confermasse la prova di compattezza e responsabilità data in quella circostanza.

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